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Essere smart è divenuta oggi la parola d'ordine dominante nel dibattito circa quale configurazione i luoghi che abitiamo debbano assumere. Alla comprovata popolarità e diffusione del concetto di smartness, che conserva una certa vaghezza di significato tra i suoi punti di forza, non corrisponde però una riflessione altrettanto accurata e puntuale su che cosa significhi essere smart per una città e su quali siano i processi di giustizia o di ingiustizia che una smart city può produrre e riprodurre. Il libro intende muoversi in tale direzione proponendo un'analisi critica del concetto di smart city che sappia tener conto del fattore della spazialità come elemento rilevante di contenuto, comprese le sue implicazioni simboliche. Attraverso l'applicazione del paradigma della giustizia spaziale, l'indagine consente il rilievo di questioni epistemologiche, di metodo e di contenuto, che inibiscono la realizzazione di una città che sia smart e al contempo capace di promuovere un abitare inteso alla fioritura dell'umano. Nella convinzione che la compenetrazione di queste due anime rappresenti una sfida non solo per le politiche pubbliche ma anche per l'impresa tecnologica.